Non può che colpire subito l’immaginazione un fumetto completamente
realizzato a matita, che denuncia, a partire dal mezzo con cui è realizzato, la
miseria di cui l’autore è testimone.
Maslov ama la terra in cui è nato nonostante il regime comunista faccia di
tutto per fargliela odiare, isolandone la gente, rendendola miserabile nel
corpo e nell’anima, con la vodka e la sterile propaganda di partito. “Che razza di paese è, un paese che spinge la gente nella fossa?” domanda
inutilmente un manovale con cui lavora l’autore.
Ciononostante Nicolaj ha due tesori preziosi, l’amore per la sua terra e
quello per la pittura, il tentativo di conciliarle si scontra però con
l’onnipresente ideologia di partito, che reprime la libera espressione e
approva solo arte da manifesto.

Uno di questi, “Una notte”, è la chiave per comprendere “Siberia”: un
custode ubriaco e steso per terra osserva dal basso una morsa, turbato da
un’ombra vaga per la fabbrica dove lavora e attira l’attenzione del direttore.
Questi minaccia di licenziarlo e lo esorta a seguire l’esempio di un
ex-dipendente, diventato un pittore famoso e di cui vediamo un quadro, una
morsa vista dal basso.
Sembrerebbe quasi che l’unico modo di esprimersi per Maslov sia ritrarre
l’alienazione, da cui si è oppressi, tuttavia l’arte deve essere universale, e
infatti l’autore oltrepassa questo limite con la storia “Hanno distrutto il
nemico”.

Finalmente il primo carro lo avvista, ecco il nemico, il milionesimo carro. Questo
racconto evoca immediatamente una vignetta di “Pogo” di Walt Kelly, in cui un
personaggio esclama: “Abbiamo incontrato il nemico… e siamo noi!”.
L’opera di Maslov testimonia dunque della possibilità di raggiungere, pur
nel più profondo abisso dell’abiezione, il senso più alto della dignità umana,
un senso così universale da essere condiviso con un autore americano,
sconosciuto al russo, eppure a lui così prossimo, come una persona ad un’altra.
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